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Gli impianti risalenti al primo boom del fotovoltaico hanno ormai raggiunto i dieci anni di servizio. A questo punto, i loro possessori potrebbero riscontrare cali di produzione importanti, con conseguenze tangibili sul fronte economico, tra aumenti in bolletta e mancati incentivi GSE. La soluzione al problema potrebbe risiedere in un intervento di revamping. Approfondiamo insieme.

Che differenza c’è tra repowering e revamping?

Facendo ricerche su internet vi sarete sicuramente imbattuti nei termini revamping e repowering, utilizzati, a torto, come sinonimi.

Dunque, qual è la differenza?

Quando parliamo di revamping, ci riferiamo ad una serie di attività manutentive volte a ripristinare condizioni di funzionamento ottimali. A seguito di un intervento di questo tipo, il nostro impianto raggiungerà prestazioni vicine o identiche a quelle iniziali, aiutandoci a salvaguardare l’investimento iniziale. 

Il repowering, al contrario, si propone di aumentare l’efficienza e la potenza nominale del fotovoltaico: ciò vuol dire che, al termine di un intervento di repowering, le prestazioni dell’impianto saranno superiori a quelle di partenza. Si tratta naturalmente di un intervento più costoso, complesso e articolato del revamping, sia a livello tecnico che burocratico.

 

Revamping: quando intervenire

Negli impianti fotovoltaici più datati non è raro assistere a cali nelle prestazioni già dopo cinque anni di esercizio.

Le cause possono essere molteplici: difetti di fabbricazione, progettazione impiantistica poco accurata, azione degli agenti atmosferici, salsedine, inquinamento. Insomma: in assenza di una manutenzione costante, l’impianto potrebbe perdere progressivamente potenza; in media tra lo 0.4 e lo 0.6 % per ogni anno d’esercizio. 

Col passare del tempo è altrettanto probabile che l’impianto non sia più conforme alle normative di riferimento, presenti componenti fuori garanzia o che, semplicemente, utilizzi tecnologie superate e meno affidabili di quelle attuali. 

Età dell’impianto a parte, potremmo già da soli effettuare un primo test casalingo per capire se sia l’ora di intervenire: ci basterà confrontare i livelli di produzione odierni con quelli passati.

 

Revamping: il processo

L’intervento di revamping è oggi molto più accurato che in passato: negli ultimi anni sono state introdotte nuove modalità di indagine capaci di individuare in maniera “chirurgica” le problematiche dell’impianto, riducendo di molto tempi e costi d’intervento. 

Terminata la fase diagnostica si potrà procedere all’attività di ammodernamento vera e propria. Solitamente si parte dal tetto, con una o più delle seguenti operazioni:

  • Sostituzione dei moduli con modelli dalle medesime caratteristiche elettriche e maggiore efficienza;
  • isolamento dei moduli malfunzionanti tramite applicazione di ottimizzatori di potenza;
  • modifica del posizionamento dei pannelli.

Si prosegue, se necessario, con l’installazione di un nuovo inverter. Questo dispositivo, cuore del sistema, trasforma la corrente continua in uscita dai moduli in corrente alternata, assicurando, tra l’altro, il funzionamento dei pannelli al massimo del loro rendimento. Rispetto ai moduli fotovoltaici – che hanno, in media, 15 anni di garanzia – l’inverter è soggetto a un decadimento più rapido e andrebbe manutenuto e sostituito con maggiore frequenza, soprattutto se, in fase di installazione, si è optato per un modello economico.

Non dimentichiamo che, in fase di revamping, potrebbe essere estremamente utile installare un moderno sistema di accumulo, necessario a conservare l’energia autoprodotta.

Le attività manutentive si concludono con la revisione degli aspetti impiantistici al fine di ottimizzare l’intero sistema, e, volendo, con l’installazione di un sistema di monitoraggio digitale in grado di effettuare check costanti sullo stato dell’impianto.