Parliamo di rinnovabili, ma siamo ancora largamente dipendenti dagli idrocarburi. Assistiamo a una domanda crescente di energia in tutto il mondo, ma puntiamo alla carbon neutrality.
Bombardati da notizie contrastanti, campagne di sensibilizzazione e suggestioni di marketing, fatichiamo a comprendere quale scenario si prospetta per il futuro del Pianeta. Catastrofe o Utopia?
Scopriamo di più, dati alla mano.
Quali obiettivi dobbiamo raggiungere?
Almeno due, parecchio ambiziosi. Da una parte, l’Accordo di Parigi 2015, che vuole limitare il riscaldamento globale mantenendo l’aumento di temperatura al di sotto dei 1.5°C rispetto ai livelli preindustriali; dall’altra, la Commissione Europea, che ci impone di ridurre progressivamente le emissioni di CO2 fino al raggiungimento della carbon neutrality nel 2050. Tra trent’anni, secondo la CE, non dovremo emettere più CO2 di quanto l’atmosfera sia in grado di assorbire.
Energia rinnovabile nel mondo
Quanto siamo distanti da questi obiettivi? Il Center for Center for Climate and Energy Solutions ci fornisce alcuni dati utili: ad oggi, solo il 20% circa dell’energia consumata nel mondo proviene da fonti rinnovabili.
Poco, soprattutto se si considera che nel gruppo delle “rinnovabili” rientrano a pieno titolo anche il nucleare, che rappresenta il 2,2% del totale, e le cosiddette biomasse tradizionali (legno, paglia, sterpaglie), ancora ampiamente impiegate nei paesi in via di sviluppo. Queste ultime, solitamente utilizzata per combustione, raggiungono da sole la quota del 7,5%.
Quel che resta, un misero 10,6%, è prodotto dalla somma di eolico, idrico e solare.
La situazione migliora se volgiamo lo sguardo ai paesi più industrializzati. Concentrandoci sul nostro continente, scopriamo che il 32% dell’energia prodotta viene da fonti rinnovabili. Austria e Svezia, con picchi d’eccellenza del 70%, guidano la classifica. L’Italia, ferma al 35%, fa poco meglio della media europea.
Anche da questi dati emerge un uso limitato del fotovoltaico, fermo al 12%. Molto più comuni, soprattutto in Nord Europa, gli impianti eolici e le centrali idriche, entrambe sopra il 30%. Anche il geotermico, meno conosciuto alle nostre latitudini, supera di qualche punto il solare con un 19%.
Bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto?
Cogliamo il lato positivo: c’è ancora ampio margine di miglioramento. D’altronde i trend prevedono, per il prossimo decennio, una rapida ascesa delle energie rinnovabili, dettata principalmente dall’abbattimento dei costi.
Prendiamo l’eolico come esempio. Negli anni 80’ produrre un Kw di energia con questa tecnologia costava 57 centesimi; oggi ne bastano 4. Il costo del fotovoltaico è passato dai 77 dollari degli anni Settanta ai 30 centesimi odierni. Non è un caso che, negli ultimi vent’anni, la produzione globale di energia tramite solare sia passata da 4 a 800 gigawatt.
Questo incremento esponenziale sarà sufficiente a raggiungere gli obiettivi 2050? Probabilmente no.
Al netto di campagne di sensibilizzazione, quadri normativi incentivanti e progressi tecnologici, il 2018 ha segnato un record in negativo, il raggiungimento del più alto picco di emissioni di CO2 mai registrato. Ci sia dunque subito chiaro il messaggio: abbattimento dei costi e innovazione non saranno sufficienti a fare il “miracolo”.
Esistono diversi fattori da non sottovalutare, come la crescita esponenziale delle metropoli e l’incremento della domanda d’energia da parte di paesi in via di sviluppo. Basti pensare che, nel mondo, 850 milioni di persone non hanno ancora accesso ad alcuna fonte di energia elettrica. Potremo mai dichiarare le loro pretese illegittime?
Una cosa è certa, seguendo le attuali politiche climatiche ed energetiche, in assenza di un radicale cambiamento, ci si prospetta quello che i tecnici definiscono “current policies scenario”, ovvero una crescita annua della domanda del 1,3%, incompatibile con gli obiettivi climatici dell’Accordo di Parigi.
Produzione e distribuzione dell’energia: qual è l’approccio vincente?
La formula vincente, secondo gli esperti, deve contemplare un approccio integrato, una produzione combinata proveniente da diverse fonti rinnovabili, nuovi processi di distribuzione, condivisione e consumo.
Una soluzione univoca non esiste. A essere premiate saranno le comunità, grandi e piccole che siano, capaci di valorizzare le proprie risorse e attuare politiche di scambio eque. Una combinazione efficace e realistica di diverse tecnologie e metodologie, seppur inusuali per i nostri standard, potrebbe salvare il Pianeta.